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IL CONTINENTE DI PLASTICA: L’ISOLA “CHE C’E’” NELL’OCEANO PACIFICO.

Avete mai sentito parlare del continente di Plastica?

No, non si tratta della solita nuova scoperta fatta da variopinti movimenti scientifici, e nemmeno di un’invenzione.

Si tratta, infatti, di un aggregato di rifiuti, principalmente in plastica, galleggianti situato nell’Oceano Pacifico, approssimativamente fra il 135° e il 155° meridiano Ovest e il 35° e il 42° parallelo Nord.



Ma come e’ possibile la formazione di un tale quantitativo di spazzatura?


Si stima che tutta la plastica che compone quest’isola provenga dall’incessante inquinamento provocato dall’essere umano gia’ a partire dagli anni ’80, ma anche dalle occasionali perdite dei container delle navi cargo, a causa di improvvise tempeste in mare, il cui contenuto va ad alimentare il deposito di plastica galleggiante.

Ma cio’ che piu’ ne contribuisce alla formazione e’ la particolare corrente oceanica che agisce in quella zona del pacifico. Tale corrente e’ denominata Vortice subtropicale del Nord Pacifico, ed il suo movimento a spirale in senso orario fa si che la plastica si aggreghi e che rimanga intrappolata nel centro del vortice, considerato una regione relativamente stazionaria che permette ai rifiuti di galleggiare in superficie.


IL SESTO CONTINENTE

Ma quali sono le effettive dimensioni di questo aggregato di rifiuti, che tanto gli ha valso il nome di sesto continente?


Le reali dimensioni del continente di plastica non sono ad oggi ancora ben precise, ma si stima che sia grande dai 700.000 km² fino ai 10 milioni di km², cioe’ un’area piu’ estesa degli Stati Uniti, e che in percentuale occuperebbe circa tra il 0,41 e il 5,6% della superficie dell’intero Oceano Pacifico.

I dati pubblicati il 22 marzo scorso sulla rivista Scientific Reports, offrono la stima più robusta della massa di plastica accumulata, cioe’ 79.000 tonnellate, di cui l’8% sono microplastiche, il 46% e’ rappresentato dalle reti ed altri attrezzi da pesca.


UN COLOMBO DI ALTRI TEMPI


Ma a chi dobbiamo la scoperta di tale continente?


La presenza di una grande chiazza di rifiuti nel Pacifico venne ipotizzata dai ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti, nel 1988, a seguito dei risultati ottenuti da alcuni ricercatori con base in Alaska che osservavano i comportamenti, a determinate correnti marine, di aggregati di rifiuti nel nord del Pacifico.

Ma l’attenzione mediatica si deve al navigatore statunitense Charles J. Moore, che per anni investigo’ sul vortice subtropicale del Nord Pacifico, fino a quando in una traversata verso Los Angeles non si ritrovo’ la barca a vela circondata da un ammasso di rifiuti di plastica.

Sarà l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer che, in seguito, conierà il termine Garbage Patch.


RIPULIAMO I NOSTRI MARI


E noi, cosa stiamo facendo per risolvere un problema di portata continentale?


Nel 2012 lo studente Boyat Slat ha creato la fondazione Ocean Cleanup con l’obbiettivo di ripulire il Great Pacific Garbage Patch con un processo di pulitura a costo zero, attraverso l’utilizzo di energia solare, derivante dalle correnti marine e con un meccanismo di riciclo a terra dei rifiuti raccolti.

Tale progetto e’ gia’ partito nel 2018 dopo mesi di studio sulla natura dei rifiuti.



Per quanto riguarda la sensibilizzazione nei confronti di questa situazione critica, spicca la figura tutta italiana di Alex Bellini, esploratore ed avventuriere, che proprio alla fine di Febbraio del 2019 e’ partito per un viaggio che lo ha portato a percorrere con la sua zattera i 10 fiumi piu’ inquinati del mondo, che sembrano contribuire alla formazione dell’isola di plastica, fino a concludersi quest’anno, al Great Pacific Garbage Patch, con l’obbiettivo di sensibilizzare ancor di piu’ l’opinione pubblica e, soprattutto, i governi mondiali riguardo tale problematica.



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